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Carlo Sciarrelli: un'intervista ricordo a 10 anni dalla scomparsa


27-09-2016

A dieci anni dalla scomparsa del progettistia Triestino, pubblichiamo un'intervista apparsa su Bolina nel 1988 ancora oggi di grande attualità per il settore della nautica da diporto

Carlo Sciarrelli: un'intervista ricordo a 10 anni dalla scomparsa

CARLO SCIARRELLI: BARCHE CON LE ALI
di Giorgio Casti

«Se vuoi vedere una delle barche più belle mai costruite, esci al primo casello», mi dice Gian Marco Borea. Siamo diretti a Trieste a far visita al progetti sta Carlo Sciarrelli, e parlare con lui di barche. La prima uscita è S. Giorgio di Nogaro. «Di che barca si tratta?», chiedo a Gian Marco. «È il Dyarchy», risponde.
Lasciamo l'autostrada e ci dirigiamo verso S. Giorgio di Nogaro. Avevo letto del Dyarchy proprio su Lo yacht, il libro di Carlo Sciarrelli; un volume, pubblicato da Mursia, fondamentale per comprendere l'evoluzione delle barche da diporto. Sciarrelli ha inserito il Dyarchy nel capitolo "Yacht da crociera", scrivendo: «La barca è stata fatta in Svezia; lo scafo è completamente in quercia; gli interni sono stati disegnati dal proprietario. È uno yacht di 24,6 tonnellate con quattro letti, un gabinetto nel gaVone di prora e la cabina a due letti davanti che si dividono il boccaporto; un salone con divani (né ribaltabili, né allargabili in nessun modo) e poltrone a braccioli, rotonde; cucina, carteggio e altri due letti nella tughetta di poppa, con il pagliolo più alto, sopra un motore Albin 10-17, senza invertitore. Non ho mai visto in una barca un simile signorile disprezzo delle possibilità di posti letto e di cavalli ausiliari».
«Anche l'attrezzatura del Dyarchy è originale - leggiamo ancora su Lo Yacht - e l'albero è unico, senza alberetto, e la controranda si inferisce da sola ... Anche secondo me il Dyarchy, è la più bella barca da crociera tuttora a galla», conclude Sciarrelli.
Quella barca è qui sotto i nostri occhi e Gian Marco Borea me la descrive: «Guarda che linee e che attrezzatura, rudimentale ma efficiente!».
A casa di Sciarrelli si respira aria di mare. Non solo perché dalle sue finestre si può ammirare
per intero il golfo di Trieste, ma perché alle pareti ci sono stupendi dipinti di navi in navigazione e tanti mezzi modelli in legno di scafi di ogni tipo, allineati in sequenza ragionata. Poi ci sono libri dappertutto, di storia e costruzione navale, riviste americane, inglesi, «Sono riviste dei tempi in cui le riviste di nautica si potevano leggere!», sentenzia Borea.
Davanti ad un bicchiere di raffinato moscato d'Asti, parliamo col progettista. Triestino, 53 anni, Carlo Sciarrelli è oggi soprattutto un cultore della progettazione navale, un artista bizzarro. Ricorda quei pittori di un tempo, che dipingevano con colori da loro stessi preparati e che con l'opera a cui lavoravano instauravano un rapporto intenso, fisico e intellettuale.

Come ha iniziato la professione di progettista?
«Ho iniziato a interessarmi di barche tardi, a 15 anni, quando qui a Trieste tutti, dalla nascita, si interessavano di barche. Sono antico. Parlo dei tempi in cui le barche significavano pittura, calafataggio:
sembra preistoria. Da ragazzo, mi procurai un rottame di un beccaccino e lo ricostruii, studiando i disegni e lavorandoci sopra per mesi.
Una volta tutto questo era normale: chi andava in barca, a volte se la costruiva e spesso se la riparava da solo».

Così ha appreso i primi segreti della progettazione...
«Sì, allora era comune intendersi di progettazione e carpenteria. Oggi tutto ciò sembra misterioso ma una volta era così per ogni cosa: la carne non veniva tenuta in frigorifero ma tra i vetri delle due finestre; il gatto non mangiava scatolette ma polmone; anche chi aveva l'auto, allora, doveva sapersela riparare».
La zona di Trieste è sempre stata nautlcamente più sviluppata, rispetto ad altre zone d'Italia.
«Nel dopoguerra c'era la guerra fredda e molti esuli istriani e dalmati venivano a Trieste: erano della marineria ex-austroungarica, o ex-veneta, e si stabilirono qui. La cultura nautica faceva parte della vita cittadina».

Trieste è una città dove è facile andare in barca. Lei va?
«Dopo i cinquant'anni molto poco, prima invece ero barca tutto l'anno a tempo pieno, con ogni tipo di scafi. Da un po' di tempo, ripeto, ci vado poco, salvo qualche volta quando esco col mio "Bat", piccolo yacht inglese di poco più di sei metri, in teak, con la ferramenta ancora originale, costruito in Inghilterra nel 1889».

Sciarrelli, lei ama più la barca o la natura che questo mezzo le consente di raggiungere?
«A me non piace il mare. A chi piace il mare piacciono anche le mutande da bagno, le pinne, il sole, gli schizzi. A me tutto ciò non dice nulla. Io amo solo le barche».
Il vento, il profumo del mare, l'ambiente naturale: non la interessa tutto ciò?
«A me piacciono le barche. Naturalmente, le barche nel mare. A me piace andare in barca e, quando il mare è bello, la barca è ancora più bella. Il mare con la barca mi può interessare ma senza no, non mi interessa proprio!».

In quale mare si gusta meglio la barca?
«La barca dà di più in una navigazione vera, grande, per esempio in Atlantico, in una traversata di giorni e giorni senza vedere terra. In questi casi la barca si gusta molto di più. Per me, la foto di un tramonto infuocato non ha alcun interesse. Mi piace la barca, l'architettura, l'arte».

Lei ha partecipato alla "Ostar" , in coppia con Austoni. L'ha fatto per provare sensazioni forti?
«Ma no, volevo provare la barca, in maniera totale. Navigare di bolina quando non è permesso sbagliare, quando non si può disamministrare le energie; quando entrano in gioco la salute, il caldo, il freddo: è il più bel gioco che si può fare con una barca».

Come si naviga con un "solitario" come Austoni?
«Austoni è uno sportivo di razza quale io non sono. A lui piace la vittoria, la lotta; la competizione a me piace la barca».

Lei prova sempre le barche che progetta?
«Provo solo le barche che mi interessano. Per 25 anni, ogni mese, ho avuto un varo di barche progettate da me: non posso provare cosi tante barche! Provo solo le barche dove ho messo qualcosa che non ho ancora provato su altre».

Sciarrelli, ho visto che nel suo studio non c'è il computer...
«Naturalmente. lo ho cominciato a progettare barche 35 anni fa! Se il computer fosse esistito quando ho iniziato a lavorare, l'avrei usato. Non esiste il computer che mi dice qual è la forma più giusta per le mie barche. Ho passato una vita a studiare disegni e oggi lavoro usando la sensibilità e l'intelligenza e non una macchina. Solo così riesco a scegliere la forma più giusta. Il computer, che è una macchina che rispetto, è soprattutto uno strumento per archiviare dati utili a chi non se ne intende di barche. Serve a progettare a chi non sa progettare. Se io mettessi nel computer tutto quello che so, basterebbe un cretino per progettare come me! lo non uso il computer perché non mi interessa progettare barche come un altro. Se io conoscessi uno più bravo di me che mi programmasse il computer, questo mi servirebbe, ma nel campo delle mie barche non c'è uno più bravo di me! Io progetto le mie barche, non progetto altro».

È da qualche anno che lei non progetta più barche lor. Forse è per questo motivo che non ha bisogno di computer?
«Oggi non saprei più progettare una barca della stazza Ior.Se dovessi riprendere, avrei
certamente bisogno di un computer.
«Ma io quelle barche non le faccio più; non so farle. Ci sono già molti progettisti che hanno la testa disposta per la stazza 10m».

Ci sono stati anni in cui, da queste parti, vincevano solo le barche di Sciarrelli. Se oggi le chiedessero di disegnare una barca con la formula lor, lei la farebbe?
«No, ripeto: non so farle. Progettare quel tipo di barche è un altro mestiere, non il mio. Perché dobbiamo parlare di un altro mestiere?».

Per provare i modelli delle sue barche, si serve della vasca navale?
«Ma cos'è 'sta roba? Per carità. No, non la uso».

Perché non serve?
«Non serve a me. Serve, invece, a far vivere chi ci lavora».
Anche lei sostiene che il "Dyarchy" è la più bella barca da crociera mai costruita?
«lo ho scritto questa cosa nel mio libro, ma quel concetto vale per quel capitolo, per ' quell'epoca. È una barca che per i suoi tempi ha risposto perfettamente alle esigenze del proprietario. Ma non è certo una barca applicabile alle esigenze dei nostri giorni!».

Perché?
«Ma perché non esiste la barca " di Dio", come non esiste la barca "del Diavolo".
Non esistono domande con un'unica risposta, così come avviene nel mondo di Mike Bongiorno. Il Dyarchy è un'opera d'arte ma non è la barca ideale che possa rispondere a tutte le esigenze. Tanto per dirne una, questa barca ha un'altezza in cabina di 1 metro e 70: cosa impensabile, oggi, in una barca di quelle dimensioni. Il Dyarchy è la miglior barca se la si confronta con quelle di cui si parla in quel capitolo del libro. Può essere definita una barca interessante, meravigliosa, bella, stramba, ma non è la barca ideale per il semplicemotivo che questa barca non esiste. Esistono solo barche che rispondono a requisiti; e basta!».

Quando, allora, una barca si può definire riuscita?
«Quando risolve molto beneil tema richiesto dal committente. Se il committente chiede una draga sturaporti, questa è riuscita se tira su più fango di tutte le altre draghe esistenti; mentre se il committente chiede un veliero molto bello e, dopo averlo finito, si scopre che ce n'è in giro un altro più bello, quel veliero è mal riuscito anche se è più bello della draga più bella del mondo».
Parliamo un po' della cantieristica navale italiana.
«Siamo giunti ad un punto che in Italia abbiamo più crescita di cantieri validi, rispetto alla richiesta. Mi addolora molto che scompaia prima la richiesta di cose buone che chi sa farle. In Italia ci sono almeno quattro cantieri di grande livello che però non hanno quattro barche da fare».

Può fare qualche nome di "cantieri di qualità"?
«Molto pochi. C'è Carlini di Rimini che tra l'altro è in mano ad un giovane, figlio del vecchio Carlini, che è anche di livello più elevato del padre. Questo è un cantiere che dovrebbe avere ordini per tre anni ed invece sta facendo una sola barca di 9 metri e mezzo e non ha altri ordini. C'è un cantiere a Trieste Crisma & Giraldi che sta finendo una barca di 18 metri, che consegnerà tra tre mesi e non ha più ordini».

Questi sono cantieri che costruiscono in legno. Per le barche in ferro, com'è la situazione?
«Per le costruzioni in ferro la situazione è diversa. Lì è il committente che condiziona il mercato. Chi sceglie di una barca in ferro vuol dire che ha studiato il francese medie e vuole un cantiere non ha mai fatto barche. In questi amanti del ferro c'è gusto dei pionieri "pezzenti". Sono miserabili nella testa,
quelli che amano le barche in ferro. A Trieste, per esmepio, c'è un cantiere che lavora benissimo il ferro; bene, chi vuole la barca in ferro li guarda con sospetto... ».

E perché mai?
«Perché, questi diportisti esigono lo scafo con le gobbe; vogliono che ci sia la ruggine perché solo così si sentono dei Moitessier! Nel caso delle barche in ferro, insomma, va analizzato bene il committente, non da un architetto ma da uno psichiatra con un martelletto sul ginocchio!».

Non crede che questa tendenza sia dovuta a mancanza di informazione corretta e ad una cultura nautica latitante? Per esempio, se si guardano le barche attuali, sono tutte simili. Sono veramente simili, o c'è qualcosa che il pubblico non riesce a cogliere?
«Sono barche da regatacrociera che poi sono barche da regata versione crociera; ed è inutile che spieghi cosa significa perché anche sul vostro giornale ho visto che avete capito. Questo appiattimento delle linee è dovuto al fatto che le barche prodotte in serie devono dare qualcosa che non si dava l'anno prima. Altrimenti, se l'utente si accorge di comperare la barca dell'anno scorso, è tutto finito! È come quando il cantante deve fare una mossetta che nessuno ha mai fatto prima: quello è l'unico suo sistema per attirare il pubblico in quanto la musica è sempre la stessa» .

È una legge di mercato, quindi, quella che costringe i costruttori a presentarsi sempre con novità, anche quando queste non ci sono?
«Le barche industriali devono essere " datate". È grave, però, quando l'utente si convince che una barca nuova è peggiore di una di tre anni prima, ben riuscita. Un'azienda non può sostenere una barca costruita tre anni prima, altrimenti la gente compra quella nel mercato dell'usato. Chi non ha "la barca dell'anno" è tagliato fuori dal giusto».

Lei, che è un progetti sta di barche "su misura", come si regola con le scelte dell'utente; lo consiglia?
«Io non sono il progettista della prima barca. Di solito, chi viene da me ha già avuto una barca e ne vuole una migliore. Volere la barca "su misura" vuol dire sapere quello che si vuole. La barca industriale, invece, si rivolge sempre' ad una nuova frontiera di clienti e le aziende sono costrette a rivolgersi ad un utente che semplicemente desidera una barca».

Lei progetterebbe una barca da costruirsi in serie?
«lo saprei fare molto bene una barca per il grande pubblico ma è difficile proporla ad un'industria, perché quando un prodotto deve raggiungere molti utenti si pensa che debba essere fatto male... perché tanto la massa è stupida. Questa cosa non l'ho mai capita».

La massa è da sempre considerata ignorante ...
«È come quando si dice "film commerciale" intendendo una cosa pornografica che poi vanno a vedere due militari e basta. Invece, il "film d'arte" , per esempio un film di Fellini, per vederlo si fa la fila!
Nonostante ciò si dice: il film d'arte non ha pubblico. Non è vero. La qualità paga sempre. Quindi, tornando alle barche, io una barca da costruire in serie non la farei commerciale, perché commerciale, secondo me, non piace.
L'industria, invece, pensa che se la barca deve essere venduta a tante persone, deve essere brutta. Sono sicuro che si sono venduti più dischi di Beethoven che di Madonna; sono certo, insomma, che alla lunga vince Beethoven, cioè la qualità. Non saprei fare una barca commerciale se con questo termine si considera il "mercato degli idioti". Parto dal principio che lavoro sempre per una persona colta, intelligente» .

Il mercato europeo è invaso da barche francesi. Perché vanno così di moda?
«Perché i francesi, per dimensioni inferiori ai 15 metri, sono i più bravi nel "fregare" l'utente, rifilando loro prodotti scadenti».

Perché non le piacciono le barche francesi?
«Le barche francesi non ci sono. Ci sono i francesi. E i francesi non amano le barche, le maltrattano, le rompono, le fanno che non durano, spelacchiate. Io amo le barche e non sopporto chi non le ama. Il francese è spocchioso, bastona le donne, bastona le barche. Io amo le barche. Non sono francese. Non so perché, parlando di barche, si nominino i francesi: non esistono! Salvo che si voglia parlare di raid, traversate dell' Atlantico con una mano legata e un occhio tappato, record su catamarani: questi sono altri argomenti che non c'entrano nulla con l'architettura navale».

Quindi, il rapporto d'amore con la barca può esistere anche se questa ha il motore?
«lo ho progettato le più belle barche a motore che ci sono nel golfo di Trieste: un peschereccio e la pilotina dei piloti del porto di Trieste, che fa 24 nodi con gli stessi motori che installano le pilotine Tyler che, invece, ne fanno 19. Non sono dei motoscafi a spigolo plananti ma delle barche da lavoro a motore».

Quindi, il rapporto d'amore con la barca può esistere, anche se questa ha il motore?
«Sono comunque delle barche, delle cose belle, interessanti. Sono oggetti che hanno una vita vera».

Ha mai disegnato motorsailer?
«Non capita spesso che me li chiedano. Quando è accaduto sono risultati così efficienti a vela che mi hanno rimproverato perché le trovavano barche a vela da regata un po'strane».

Il legno è il materiale principe per costruire barche?
«Uno che progetta deve poter fare una barca come gli sembra più giusto, non come esige il materiale. Se io disegno una barca di 15 metri di 13 tonnellate, che non è certo un Uldb, la devo disegnare di legno perché se la disegno di ferro, devo disegnarla di 16 tonnellate, minimo, se non di 18.
Allora, il ferro non è un materiale da costruzione navale perché condiziona le scelte. Insomma, nel caso del ferro, devo dare allo scafo una forma adatta al materiale e non quella che vuole l'acqua; e quando un materiale richiede alle barche una forma che non è quella che vuole l'acqua ma quella che vuole il fabbro ... non è un materiale navale. Pertanto, le barche vanno fatte in legno, se singole, in plastica se in serie.
Anche il cemento non è un materiale da costruzione navale perché la barca non deve avere la forma che vuole il cemento ma quella che vuole il mare».

E l'alluminio?
«Ho fatto molte barche in alluminio. È il miglior materiale per costruire barche perché è leggero come il legno e robusto come il ferro. Solo che teme l'umidità, bisogna conservarlo in un luogo asciutto».
A quale barca sta lavorando attualmente?
«Sul tavolo ho una barca di 15 metri e ne ho altre 5 in lista d'attesa. Sono tutte barche di qualità, quelle che una volta finite archivierò con l'asterisco, un simbolo con cui segnalo le barche riuscite bene».
Quindi lei lavora sempre tanto e sempre su prodotti di qualità?
«La qualità è sempre più rara perché è divenuto più raro, percentualmente, il committente di qualità. Basta vedere le case che si costruiscono, i film che si girano, i libri che si scrivono. Comunque, io lavoro. Meno di dieci anni fa. Mi vanto di dire che sto muerendo molto più piano di tutti i miei colleghi; sono un moribondo in un mondo di morti».

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