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Scomparso Matteucci
fondatore della Tibermast


02-04-2012

Si è spento venerdì 30 marzo Picchio, produttore di alberi in alluminio e uno dei personaggi storici della nautica da diporto italiana.

Scomparso Matteucci
fondatore della Tibermast

È deceduto venerdì 30 marzo Pietro Matteucci fondatore della società romana Tibermast. L'azienda con sede a Fiumicino, sul litorale della Capitale, è stata pionieristica nella produzione di alberi di alluminio per imbarcazioni a vela e tra le più rinomate nel settore in Italia. La redazione di Bolina si unisce al cordoglio dei famigliari e lo ricorda attraverso le parole dell'amico e collaboratore Danilo Fabbroni:

La scomparsa improvvisa del deus ex-machina della Tiberspar (Tibermast), il mitico Picchio travolge un pezzo di storia della vela italiana e la fa piombare, da qui a poco, nel baratro dell'oblio più nero. Un salto generazionale (Picchio era oltre i sessant'anni) e "merceologico" (ora i pali delle giunche son quasi tutti in carbonio con poche eccezioni) aveva lasciato Picchio nella felice enclave tiberina a far i suoi alberi d'alluminio, come una volta, come se il tempo non fosse mai passato, per una fetta di vela "popolare", quella romana soprattutto, la quale non aveva nulla o poco da invidiare ai numeri veri costituiti da  migliaia di appassionati dello yachting, che potevamo riscontrare solo in terra di Francia.


Un semplice giro tra Ostia, Fiumicino,  Santa Marinella, Civitavecchia e si poteva scorgere nugoli e nugoli di fittume di alberi che non avevano rivali per quantità in nessuna altra parte del suolo nazionale. Certo, era vela "povera" per così dire, lontana dai fasti di Porto Cervo, fatta appunto un po' alla francese, anche con barche desuete, non sempre sicure, un po' per via della loro vetustà, un po' per via della loro provenienza, ma sicuramente balzava all'occhio lo "spessore" che si poteva toccar con mano di gente che - se non affetta da grande spirito di navigazione - per lo meno usava la barca come nuova magione "sul mare".
 E Picchio aveva una parola buona per tutti, e un palo per tutti. Era un omone alto e grosso, che tradiva un passato forse da rugbista, come un altro capostipite della vela italiana, Maurizio Curci, il mai dimenticato timoniere che negli anni settanta dette filo da torcere anche a tipi come Dennis Conner. Picchio veniva dalla scuola della grande vela romana, all'ombra del soggiorno capitolino di Straulino, che aveva generato fuoriclasse come Gigio Russo o Stefano Carletti, mitico velaio il quale aveva immaginato rig alari decenni e decenni fa.


Di Picchio voglio ricordare un'immagine simpatica. Eravamo ad alberare e si lavorava sotto uno di quei soli impalcabili in banchina e con lui era immancabile vederlo con una mano su una sartia da montare e l'altra col pezzo di pizza alla cipolla in mano, pronta a scomparire tra le sue fauci. Ad un certo punto, un pezzo di pizza gli scappò dalle mani, e si infilò entro un'uscita delle drizze. Sotto quel sole bollente, Picchio non si dette pace finché non riuscì a cacciarla fuori col ferretto con cui si faceva passare il testimone delle drizze per divorarsela in un solo boccone.
Vorace in tutto, anche nelle sfuriate, e nelle successive pax romane (era stato agente Proctor Italia e mal digerì entrate in campo altrui che giudicò vere e proprie "lese maestà"!), lo vogliamo ricordare così, con malcelato affetto per un mondo che chiude i battenti per sempre su una vicenda ormai chiusa con lui.

Danilo Fabbroni

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