Ecosistemi del pianeta in pericolo
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Uno studio redatto da una commisione di esperti sotto l'egida dell'Onu svela un inquietante scenario per il futuro del nostro pianeta. La causa è da imputare a un perverso sfruttamento da parte dell'uomo.
Uno studio compiuto alla fine di marzo da parte del Millennium Ecosystem Assessment (MA Report - MAR) (Valutazione degli Ecosistemi del Millennio), sotto l'egida dell'ONU, rivela che il 60% degli ecosistemi che supportano la vita sulla terra - quali, ad esempio, le acque dolci, la pesca, la struttura che regola i cicli dell'acqua e dell'aria, l'apparato di regolazione dei climi regionali, delle calamità naturali e delle malattie infettive - si avvia ad essere degradato in modo irreversibile. Gli specialisti che hanno redatto il Rapporto, infatti, sottolineano che gli effetti di questo degrado potrebbero manifestarsi in maniera crescente entro i prossimi 50 anni. Pertanto, se molti si consolano pensando che il Sistema Solare collasserà solo fra qualche milione di anni, l'MAR trasla indietro nel tempo tutte le preoccupazioni del caso.
"Qualsiasi progresso raggiunto negli obiettivi della riduzione della povertà e della fame, del miglioramento della salute pubblica e della protezione dell'ambiente non potrà essere sostenuto se gran parte degli ecosistemi che supportano la vita sul pianeta continuerà ad essere degradata" recita lo studio suddetto, condotto da 1300 esperti provenienti da 95 nazioni. Il Rapporto dichiara specificamente che l'attuale degrado degli ecosistemi costituisce una via di blocco agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, stabiliti dai maggiori leader del globo nel 2000, alle Nazioni Unite. Sebbene l'evidenza delle prove sia, in qualche caso, a ancora incompleta, vi sono sufficienti situazioni evidenti per sostenere che il crescente degrado della struttura di 15 dei 24 ecosistemi stia accrescendo la possibilità di creare potenziali rapidi cambiamenti nella vita dell'uomo. Questi comprendono l'emergenza di nuove malattie, subitanei cambiamenti alla qualità delle acque, creazione di "zone morte" lungo le coste, collasso delle attività di pesca e cambiamenti nei ritmi dei climi regionali. Il Rapporto sottolinea il fatto per cui il benessere del genere umano dipende in gran parte sulla disponibilità delle risorse che il pianeta - ospite mette a sua disposizione, dallo stato generale di salute, dalle relazioni sociali, dalla sicurezza e dalla libertà. Ognuno di questi parametri è influenzato direttamente dai cambiamenti nelle strutture degli ecosistemi, in particolare la produzione di cibo, legname e pesca.
L'intensivo uso degli ecosistemi produce spesso vantaggi a breve termine, ma l'uso eccessivo e non sostenibile di essi può, a lungo termine, determinare gravi perdite negli stessi. Un continente o una nazione potrebbe, ad esempio, perdere quasi completamente il suo patrimonio forestale e ridurre a zero quello ittico, mostrando, forse, un aumento nel Pil, a discapito delle gravi perdite nei beni naturali (e materiali) del proprio territorio. Fra i casi più eclatanti portati ad esempio, viene mostrato il collasso nella pesca del merluzzo lungo le coste orientali del Newfoundland, nel 1992 (vedi grafico sopra relativo al periodo compreso tra il 1850 e il 2000). Questo crollo ha costretto le autorità locali a chiudere l'attività di pesca dopo centinaia d'anni di esercizio. Nel Newfoundland, infatti, fino ai tardi anni 50, la pesca era esercitata da flotte migratorie e da poche barche di residenti lungo la costa. Dalla fine degli anni cinquanta in poi, grandi barche d'altura hanno avviato l'esercizio della pesca nella parte più profonda dello stock faunistico, realizzando abbondanti catture, ma apportando un rapido e forte declino nella biomassa sottostante. Di conseguenza, lo stock è collassato negli anni 80 - primi anni 90; in seguito, fu realizzata una moratoria nella pesca commerciale negli anni 92 e fu reintrodotta una limitata attività nel 98, ma la estrema riduzione della quantità di pescato determinò la chiusura nel 2003.
Gli estensori del Rapporto, inoltre, richiamano l'attenzione sull'azoto ed il fosforo. L'aumento di questi due elementi prodotti dalle attività umane, infatti, minaccia la vita nei mari e negli oceani. L'azoto ed il fosforo (ed i derivati composti organici) costituiscono delle sostanze nutrienti che, attraverso i fertilizzanti artificiali, giungono in grande quantità nei torrenti, nei laghi e nei fiumi. Arrivando sulle coste, essi causano una enorme proliferazione di alghe che - sottraendo ossigeno alle acque - distruggono le altre forme marine di vita. Il MAR, sottolineando che un quarto delle riserve ittiche sono quasi esaurite a causa dell'attività intensiva di pesca, dall'azione di specie invasive (recentemente, l'arrivo nel Mar Nero di una specie di medusa americana ha provocato l'estinzione di ventisei specie di pesci di elevato valore commerciale) e dall'inquinamento, punta l'attenzione sul pericolo che incombe sulle risorse alimentari marine. J. Lash, membro del Comitato Scientifico, ha detto: " Abbiamo fatto la revisione dei conti della Terra ed il suo stato patrimoniale è in rosso".
(Gian Carlo Ruggeri)
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