Raggiunto in seno alle Nazioni Unite il primo accordo per la protezione dell’Alto Mare. È il primo a difendere le aree di mare che non ricadono nelle giurisdizioni nazionali
“La nave ha raggiunto la riva”. È con queste emozionate parole che la notte del 4 marzo 2023 a New York, presso il Palazzo delle Nazioni Unite, la presidente di conferenza Rena Lee ha annunciato lo storico raggiungimento di un accordo per la protezione dell’Alto Mare, dopo decenni di serrate negoziazioni e profonde difficoltà.
Dalla nascita delle Nazioni Unite nel 1945, il mare è stato sempre oggetto di discussione. Nel 1958 una prima Conferenza a Ginevra iniziò a codificare la “legge del mare tradizionale” e nel 1982, nove anni dopo l’inizio di una seconda conferenza sul tema, venne aperta alle sottoscrizioni da parte degli stati la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, meglio conosciuta con l'acronimo inglese di Unclos, a cui oggi aderiscono 168 stati (con alcuni assenti, fra cui gli Stati Uniti).
In questo testo si definisce “Alto Mare” quella porzione di acqua al di là dei confini di ciascun paese, quindi per lo più al di là delle acque territoriali o delle 200 miglia delle Zone Economiche Esclusive, corrispondente a più dei due terzi dell’intero oceano. L’Alto Mare, che ospita la maggioranza delle specie marine conosciute, oltre che alle migliaia ancora sconosciute, non sottostà alla giurisdizione di nessuno stato ed è rimasto privo di regole globalmente condivise fino alla conclusione, pochi giorni fa, della Conferenza Intergovernamentale sulla Biodiversità Marina nell’Area Oltre la Giurisdizione Nazionale, i cui temi si discutevano fin dal 2004.
Il testo adottato dalla Conferenza, a cui già ci si riferisce con “Trattato sull’Alto Mare”, si colloca quindi all’interno dell’Unclos e prevede regole e procedure comuni per l’accesso e l’uso delle risorse genetiche marine e l’adozione di importanti misure di conservazione e uso sostenibile dell’Alto Mare, come la designazione del suo 30% come area protetta, in cui attività come la pesca industriale e l’estrazione dai fondali marini potrebbero essere vietate.
Inoltre, uno degli aspetti più innovativi dell’Accordo, è che i paesi sviluppati si sono impegnati a sovvenzionare progetti che aiutino i paesi in via di sviluppo a conservare e utilizzare in modo sostenibile le risorse marittime.
L’Alto Mare si può quindi considerare protetto, adesso? Certamente il Trattato è un ottimo inizio per raggiungere l’obiettivo fissato dall’ultima Conferenza delle parti aderenti alla Convenzione dell’Onu sulla diversità biologica (meglio conosciuta come COP) di proteggere il 30% della superficie terrestre e marina entro il 2030, anche se la strada è ancora lunga. Gli stati membri dell’Onu dovranno prima formalmente adottare il trattato, poi servirà la ratifica di almeno sessanta di questi prima che il testo entri in vigore.
Con il sincero appoggio e sforzo di ogni stato, però, si può dire che l’oceano e le sue risorse abbiano oggi una chance in più di essere conservati e protetti.
(Francesca Pradelli)