Tra le specie ittiche non autoctone ora presenti in Mediterraneo l'aggressivo granchio blu rappresenta forse la minaccia maggiore per la biodiversità dei nostri mari
Da alcuni anni nel Mediterraneo si registra un incremento di specie ittiche aliene, ovvero alloctone originarie di altri habitat, che si stanno diffondendo molto più rapidamente che in passato anche nei mari che bagnano l’Italia. Chi studia questi fenomeni, in larghissima parte attribuisce la responsabilità ai cambiamenti climatici, in particolare all’aumento delle temperature delle acque che diventano sempre più calde, aggiungendo ulteriori interrogativi rispetto alle conseguenze sulla biodiversità e sull’equilibrio dell’ecosistema marino già abbondantemente minacciati.
Si tratta soprattutto di specie lessepsiane, che giungono dal Mar Rosso attraverso il Canale di Suez, così definite dal nome del diplomatico e imprenditore francese Ferdinand de Lesseps che realizzò il canale inaugurato nel 1869. Fra esse: il pesce flauto (Fistularia commersonii), il pesce palla maculato (Lagocephalus sceleratus, che ha carni tossiche), il pesce coniglio (Siganus luridus, che ha invece carni commestibili).
Ma la colonizzazione del Mediterraneo da parte di specie non indigene non sta avvenendo solo con la migrazione lessepsiana; ci sono infatti diverse specie aliene arrivate tramite le acque di zavorra di navi e petroliere, tra cui alcuni crostacei originari dell’Atlantico. Il più noto e invasivo è attualmente il Callinectes sapidus, nome scientifico del granchio reale blu o granchio azzurro, autoctono delle coste atlantiche del continente americano ed oggi presente in altri mari del mondo. In Italia lo si trova lungo le coste dell’Adriatico, del Tirreno, dello Ionio, in aree lagunari e nelle foci di fiumi; con particolare abbondanza in alcune zone dove ha cominciato da qualche tempo a comparire nelle pescherie, come a Chioggia, a Venezia, nelle valli del Comacchio, in Sicilia, per fare qualche esempio. Le carni sono per l’appunto commestibili e gustose e può raggiungere dimensioni ragguardevoli con la larghezza del carapace superiore ai 20 centimetri.
Nei confronti del Callinectes sapidus, all’interessamento della ricerca scientifica si è unito quello dell’Unci Agroalimentare, emanazione dell’Unione nazionale cooperative italiane, che rappresenta il 45% delle imprese e cooperative della filiera agroalimentare ed ittica nazionale. Nell’ambito del “Programma triennale della pesca e dell’acquacoltura-annualità 2022”, l’associazione ha organizzato di recente una serie d’incontri a Marsala, a Goro (in provincia di Ferrara), a Cirò Calabro e in altre località.
I pescatori che hanno partecipato alle iniziative hanno raccontato i problemi che sta creando questo granchio, che nelle zone dove è massivamente presente è ritenuto una grossa minaccia per la biodiversità, prevalendo con l’aggressività e la potenza delle sue chele sulle specie autoctone, come i molluschi bivalvi, mettendo quindi a repentaglio l’equilibrio di ecosistemi marini.
Da parte del presidente di Unci Agroalimentare Gennaro Scognamiglio e della biologa marina Piera Marigliano, la proposta è d’incrementare la pesca selettiva per diffondere vendite e consumi del Granchio blu, in modo da contribuire a tenere sotto controllo questa specie molto invasiva e aiutando i pescatori sul piano economico. Portando nel contempo avanti la ricerca per approfondire la conoscenza di specie ittiche ancora poco conosciute, l’Unci ha puntualizzato che per questa parte dello studio pescatori e ricercatori saranno coadiuvati dal dipartimento Dafne dell’Università di Foggia.
(Carmelo Maiorca)